Tre sintomi di un team vulnerabile Tre sintomi di un team vulnerabile
24.09.2013

Diversi anni fa, ho lavorato con un team di executive che erano localizzati tutti nello stesso edificio ma sembravano essere lontanissimi gli uni dagli altri, in modo frustrante.

Eppure nel corso del mio primo incarico al termine della business school, ho collaborato con molti gruppi nei quali eravamo sparpagliati per il mondo ma io mi sentivo strettamente connesso con tutti i componenti. Che cosa comporta tali differenze, enormi ed apparentemente contro intuitive?


Un modello che spiega questa sconnessione deriva da un’interessante ricerca di Karen Sobel-Lojeski all’Università Stony Brook. Dalla sua analisi, basata su più di 600 team, ha sviluppato un nuovo concetto – chiamato “distanza virtuale” – che misura il senso di isolamento percepito dai membri nel gruppo di appartenenza, isolamento che si basa sulle comunicazioni elettroniche. 


Tre sono le categorie di diversi fattori che determinano la distanza virtuale:


1. Distanza fisica: la separazione geografica dei membri (includendo la differenza di fuso orario) e il fatto che tutti lavorino per la stessa azienda oppure per molteplici organizzazioni.


2. Distanza operativa: il tipo e la qualità delle comunicazioni (se, ad esempio, il team sia in grado di incontrarsi di persona nei momenti cruciali di un progetto in corso), le richieste che dall’esterno arrivano ai membri (nel caso in cui stiano lavorando contemporaneamente anche ad altri incarichi), la loro disinvoltura nell’utilizzo delle tecnologie (quanto siano a proprio agio con l’uso di strumenti virtuali quali i software per permettere la collaborazione e se questi supporti siano o meno disponibili) e la distribuzione dei vari componenti (fino a che punto sono riuniti in una location centrale oppure sparpagliati in numerosi siti).


3. La distanza dovuta alle affinità: le differenze culturali e gli stili di comunicazione dei membri, la diversità di posizione gerarchica all’interno dell’organizzazione (e se i loro contributi siano riconosciuti oppure no), l’anzianità del loro legame con gli altri appartenenti al team e la loro interdipendenza (se abbiano o meno un senso di “destino e futuro comuni”).

 

Nel suo lavoro, tutti questi fattori sono stati misurati e tracciati su grafici permettendo ai manager di determinare se un team fosse vulnerabile e, ancora più importante, se questi problemi fossero con buona probabilità in procinto di manifestarsi. Per esempio, un team operativo in una grande azienda del campo dei servizi finanziari dimostrava distanza fisica medio - alta, distanza operativa medio - bassa ma alta distanza delle affinità indicando potenziali problemi proprio a questo livello.

Per quanto riguarda i team con cui ho lavorato subito dopo la business school, noi avremmo potuto avere alta distanza fisica ma bassi valori di quella operativa e delle affinità, il che definiva le nostre relazioni sul lavoro e in ultima battuta il nostro successo.


I grafici di Sobel-Lojeski sono come la storia clinica di un paziente – con esami del sangue, valori del colesterolo, raggi e tutto il resto. Come i medici usano tali informazioni per stabilire il rischio di infarto di un paziente, così i manager possono basarsi sui dati della “distanza virtuale” per prevedere se un team non sarà probabilmente in grado di raggiungere i suoi obiettivi.

 

Qual è il costo di tali fallimenti? Sobel-Lojeski ha realizzato un’analisi quantitativa e i suoi risultati sono illuminanti. I team che presentano una distanza virtuale alta sono nel 90% dei casi caratterizzati da cali rilevanti nell’efficacia del loro impulso all’innovazione, più dell’80% registra un bassissimo livello di fiducia, il 60% non riesce a terminare i progetti nei tempi stabiliti e rispettando il budget assegnato, giusto per dire alcuni degli effetti negativi. Per evitare queste problematiche così onerose, qui di seguito ci sono alcuni ottimi consigli pratici che abbiamo raccolto da un certo numero di fonti, incluso il nostro lavoro in ambito coaching con team quali Reuters, General Motors, Lincoln Financial Group, Ebay e molte altre aziende.

 

Non sovrastimare gli effetti della distanza fisica.

I team che si trovano nella stessa località possono avere una distanza virtuale maggiore di quelli che sono distribuiti in vari siti. Persone che abbiano lavorato in molti gruppi di tipo differente probabilmente non troveranno questo risultato troppo sorprendente. Ma ecco dove la cosa diventa interessante. Sobel-Lojeski ha scoperto che, di gran lunga, la distanza delle affinità (e non quella fisica o operativa) ha l’effetto maggiore sull’innovazione, la fiducia, l’apprendimento e altri risultati di team.

 

Evitare di essere parsimoniosi con i centesimi ma sperperare sterline.

Molte aziende hanno tagliato i propri budget per le trasferte, in particolare a causa della regressione economica attuale. Ma questa operazione può essere di breve termine e apportatrice di costi ben maggiori nel tempo se si applica a team con una distanza virtuale alta. In questi casi, un’azienda deve necessariamente pensare ad investire in modo da ridurre la distanza virtuale – per esempio spendere 40.000 dollari per incontri di persona durante i passaggi critici nella realizzazione di un progetto. In caso contrario, il costo totale per l’azienda potrebbe essere notevolmente maggiore in termini di scadenze non rispettate, budget sforati, opportunità di mercato perse e così via.

 

Puntare al frutto sui rami più bassi.

La riduzione della distanza delle affinità all’interno di un team avrà i migliori risultati nel lungo periodo, ma è anche percepita come l’operazione più sfidante e difficile da portare a termine. Noi abbiamo sperimentato che semplici racconti tra i membri hanno un impatto sull’affinità all’interno del gruppo, insieme ad un continuo processo personale e professionale di “check-in” che chiamiamo “Take 5” all’inizio delle riunioni. Sobel-Lojeski suggerisce ai manager di considerare anche un rapido intervento per ridurre la distanza operativa, cosa che potrebbe avere un effetto più temporaneo ma è relativamente facile da mettere in atto. Per esempio, un’azienda potrebbe sollevare i membri del team (almeno temporaneamente) dagli impegni “più competitivi” e fornire un training completo e un grande supporto per l’utilizzo degli ultimi strumenti utili alla collaborazione. Noi abbiamo scoperto che perfino l’uso delle videoconferenze può apportare risultati significativi.

 

Fare leva affinché piccoli cambiamenti portino effetti notevoli.

Quando si tenta di ridurre la distanza di affinità di un team, perfino minime azioni possono causare cambiamenti di grande risonanza. Se un gruppo integra un diverso mix di culture e background, per esempio, il leader del team potrebbe iniziare il progetto affidando piccoli incarichi a coppie di persone che siano il più possibile diverse tra loro. In uno studio, un manager che ha messo in atto questa tecnica ha scritto nel suo report: “Il legame che si è creato all’interno delle coppie sembra durare e trasmettersi all’intero team, contribuendo ad apportare una migliore collaborazione e grande coesione all’interno del gruppo”.

 

Albert Einstein una volta disse: “Se avessi un’ora soltanto per salvare il mondo, utilizzerei 55 minuti per definire il problema e solo 5 minuti per trovare la soluzione”.
In altre parole, comprendere un problema è la chiave per risolverlo. Il concetto di “distanza virtuale” ci aiuta a capire le criticità di team virtuali e localizzati nello stesso posto. Ci fornisce tre utili categorie (distanza fisica, distanza operativa e distanza delle affinità) per classificare i vari fattori che possono ostacolare i colleghi impedendo loro di essere in connessione e collaborare gli uni con gli altri. E, come cornice generale, aiuta a spiegare perché i membri del team che lavorano nello stesso luogo possano, di fatto, essere lontani miglia. Ho il sospetto che tutti noi potremmo testimoniarlo.  



Autore: Keith Ferrazzi - CEO di Ferrazzi Greenlight e scrittore
Fonte: Harvard Business Review - http://blogs.hbr.org