Qualità di un Responsabile Vendite Qualità di un Responsabile Vendite
30.04.2013
Quante ne possiedi?

  1. Mantieni un atteggiamento positivo… orientato a trovare soluzioni, ad agire, a comprendere le persone. L’entusiasmo del proprio capo è contagioso. Attenzione che se ti avvicini troppo a questo risultato, potresti imbatterti in un serio caso di successo.

  2. Abbraccia il cambiamento… il cambiamento è certo. I followers tendono a resistergli. E' il marchio del leader dare il benvenuto alle novità e organizzarsi per cogliere le opportunità che ne derivano.

  3. Schiera il coraggio… Douglas MacArthur diceva: “Il coraggio è semplicemente paura che resiste un po’ più a lungo”. Ottimo consiglio. George Patton diceva: “Io non accetto consigli dai miei timori”. Ottimo consiglio. I leader scelgono di essere coraggiosi.

  4. Rischia… Il rischio più grande è non correrne mai uno. Uno degli elementi distintivi del successo è la volontà di rischiare. I leader sono determinati a vincere oppure a tentare nuovamente.

  5. Ascolta… Ascolta con l’intento di capire. I leader ascoltano per imparare. I tuoi potenziali clienti conoscono i loro bisogni e sanno cosa sta accadendo nelle prime linee dei loro business: basta ascoltare.

  6. Comunica… I leader si pongono come esempio per la comunicazione aperta. Usano la testa. Dicono quello che provano. Parlano con il cuore.

  7. Delega e fai crescere le risorse… I leader condividono le responsabilità. Loro non sono dittatori, loro pongono in atto esempi che gli altri possano seguire. Incoraggiano la crescita personale dei collaboratori spronandoli ad assumere nuove responsabilità, incoraggiandoli ad ottenere risultati positivi e supportandoli se falliscono. I leader comprendono che gli errori sono lezioni lungo la strada che porta al successo.

  8. Comprendi gli altri, te stesso e la tua situazione… I leader capiscono l’importanza di un approccio aperto e curioso. Una costante ricerca di conoscenza porta ad una maggiore comprensione.
Il nemico mortale della performance aziendale Il nemico mortale della performance aziendale
16.04.2013

Siamo ormai abituati a considerare la mancanza di performance aziendale come il risultato della crisi economica. E non c’è dubbio che molte aziende stiano attraversando un momento estremamente difficile della loro esistenza. Ma sarebbe sbagliato attribuire tutte le responsabilità al ciclo economico. Purtroppo i problemi sono sì esterni, ma spesso anche interni all’impresa. E non mi riferisco necessariamente a elementi di natura strategica (ad esempio, un’acquisizione che non ha portato i frutti che ci si aspettava), quanto piuttosto alla frequente mancanza di una sana e rigorosa gestione.

Faccio un esempio. Molte aziende non hanno mai lavorato seriamente sui processi di aumento della produttività. Lavorare sulla produttività significa abbattere i costi a parità di output ovvero aumentarli meno che proporzionalmente se l’output cresce. Sempre. Senza mai smettere.
Non avere fatto questo sforzo vuol dire che quando la crisi ha colpito ha portato in immediata evidenza dei problemi che erano latenti, ma che con la crisi stessa nulla avevano a che fare. La crisi è stata solo l’effetto scatenante, ma prima o poi sarebbero comunque emersi.
Esiste una priorità organizzativa gestita la quale molti di questi problemi si risolvono da soli (e ahimè si sarebbero risolti da soli).
Sto parlando della necessità, per molte aziende, di creare le condizioni per cui gli interessi dell’azienda stessa e dei suoi dipendenti (anche di una certa responsabilità) siano sufficientemente allineati. “Io sono io, l’azienda è un’altra cosa”. Purtroppo é un sentimento diffusissimo. Non mi riferisco solo al personale esecutivo. E’ una condizione spesso presente anche all’interno di molti management team. Molti capi funzione sanno che devono svolgere delle attività o gestire le loro persone. E lo fanno diligentemente. Ma purtroppo sentirsi responsabili della performance aziendale (in particolare della produzione di un reddito solido e crescente nel tempo) è cosa totalmente diversa.
Solo se ci si sente responsabili per la performance aziendale si passerà una quota importante del proprio tempo a ragionare su come rafforzare la propria organizzazione. Continuamente ed in modo strutturale. Da sole le persone si faranno venire in mente come migliorare i processi interni per estrarre ogni anno un giusto aumento di produttività. Da sole si faranno venire in mente cosa è opportuno fare per diminuire l’investimento in capitale circolante così da ridurre le necessità finanziarie. E via dicendo.

Si potrebbe obiettare: ma il capo non istruisce i propri colleghi su cosa bisogna fare? Certo. Ma non c’è paragone tra la potenza di un’organizzazione dove le persone si comportano da sole in questo modo, rispetto a quella dove le iniziative di rafforzamento vengono solo dall’alto. 10 cervelli (tutto il management team) sono meglio di 1 (il capo, da solo).
La soluzione è relativamente semplice (tanto quanto disattesa). La definirei il circolo virtuoso della responsabilizzazione manageriale.
E’ fatta di quattro momenti, tutti guidati dal vertice, che deve naturalmente essere molto deciso a intervenire su questo tema. In particolare:

Assegnazione responsabilità economiche. E’ fondamentale disaggregare il conto economico (e se necessario lo stato patrimoniale) e assegnare la responsabilità di gestione di ogni sua linea (o parti di) a un componente della prima linea dell’azienda. L’assegnazione deve essere esplicita e pubblica.

Assegnazione obiettivi.
Tutto il management team deve avere come obiettivo principale il reddito dell’azienda. In aggiunta, il responsabile della gestione della singola linea di conto economico deve avere obiettivi in merito, anch’essi economici. Ovviamente gli obiettivi devono essere inseriti a budget e l’assegnazione deve essere esplicita.

Formulazione interventi di potenziamento. Ogni componente della prima linea deve formulare gli interventi di potenziamento necessari per ottenere gli obiettivi che sono stati assegnati e li deve concordare con il vertice.

Controllo risultati operativi ed economici. Da quel momento in poi, il vertice deve incontrare singolarmente ogni componente della prima linea per discutere l’avanzamento dei lavori di potenziamento. Negli stessi incontri discuterà della performance dell’unità (ossia il grado di raggiungimento degli obiettivi economici). La verifica della performance dovrà essere fatta sulla base di report di controllo economico ed operativo che dovranno esistere e dovranno contenere gli indicatori e i driver descrittivi dei fenomeni in oggetto. Questi incontri saranno anche il principale veicolo di gestione della propaganda (ossia, la reiterazione dei principi chiave di ispirazione della condotta aziendale). Il vertice dovrà prendere nota (per iscritto) del risultato delle conversazioni e degli ulteriori impegni presi (da riverificare negli incontri successivi).

I primi tre passi devono essere eseguiti con frequenza almeno annuale. Il quarto con frequenza almeno mensile.
Jack Welch sosteneva che una delle sue principali responsabilità era di verificare se le istruzioni che aveva dato erano state eseguite. Stupisce nella sua praticità e alla luce del calibro delle persone coinvolte, ma ci dà un’indicazione importante sul valore di questi meccanismi.

Altrettanto, è cosa nota l’effetto che ha avuto all’interno del sistema bancario italiano l’adozione diffusa di strumenti di controllo della performance molto tempestivi (il giorno dopo) e molto disaggregati (anche a livello di singolo venditore). Il caso forse più eclatante è stato quello che ha riguardato i prodotti di asset management (fondi comuni di investimento, polizze vita, e via dicendo). In questi mercati l’Italia è passata da essere paese arretrato a diventare uno dei mercati più sviluppati al mondo. Di nuovo, elementi gestionali (in questo caso la presenza di una reportistica molto più efficace di prima) hanno giocato un ruolo significativo nella creazione del fenomeno. 

Elementi di contorno aiutano il tutto: 1) un sistema premiante che parla lo stesso linguaggio e non è a sua volta disallineato dai veri obiettivi aziendali, 2) delle strutture di controllo che fanno il loro lavoro e si assicurano in particolare che la rappresentazione che viene data ai fenomeni aziendali sia veritiera, 3) un’organizzazione piatta e poco verticistica dove le informazioni circolano più liberamente.
La chiave di tutto questo è il rigore e l’attenzione al dettaglio. La presenza e l’applicazione costante di un metodo sono, in questo caso, il vero motore di produzione della performance. L’uso del buon senso, da solo, porta un’impresa molto lontano.

Leadership, progettata da Gaudì Leadership, progettata da Gaudì
09.04.2013

Qualche tempo fa ero a Barcellona per un viaggio di lavoro e ho riservato una giornata alla visita della città. Volevo immergermi, anche se soltanto per poche ore, nell’atmosfera delle Ramblas (le tipiche, animate e spesso affollate vie che collegano Plaça de Catalunya con il porto) e del Barri Gòtic (il quartiere gotico). E dovevo vedere la Sagrada Famìlia. 

Il Temple Expiatori de la Sagrada Família (Tempio espiatorio della Sacra Famiglia) è universalmente riconosciuto come il capolavoro di Antoni Gaudì l’architetto spagnolo, vissuto a Barcellona tra il XIX e il XX secolo, considerato fra i più grandi architetti della storia.
Camminando verso la basilica, stavo pensando a come Gaudì non solo ha progettato una parte considerevole dei monumenti più famosi della città, ma ha contribuito a costruire l’identità stessa di Barcellona. E questo mi ha stimolato a pensare alla relazione tra architettura e leadership, dato che un leader spesso deve affrontare la sfida di costruire l’identità di un gruppo o di un’organizzazione.

Sono arrivato alla Sagrada Familia al tramonto. La luce degli ultimi raggi di sole, filtrata dalle vetrate policrome, mi ha emozionato. Non sono un esperto di arte né di architettura, ma quattro cose mi sono rimaste in mente, e penso possano essere considerate quattro lezioni di leadership che possiamo imparare da Antoni Gaudì (fa parte della condizione di essere un docente di management il non riuscire a evitare di pensare alla leadership anche quando si passeggia dentro a uno dei maggiori capolavori della cristianità).

Gaudì ha lavorato con dedizione a un’opera che sapeva di non poter portare a termine. Aveva concepito la Sagrada Familia come un progetto che doveva impegnare generazioni, come una cattedrale medioevale. È stato capace di un progetto e di una visione che trascendesse la sua persona e il suo essere architetto. È una vera e propria opera di devozione. E mi domando se siamo ancora capaci di progetti di questo respiro e quanti leader in questo momento possano permettersi di affrontarne.

Ha lavorato tra molte incertezze. La Sagrada Familia è stata costruita “per approssimazioni successive”, modificando i progetti passo passo e definendo le forme man mano che la chiesa assumeva consistenza e realtà. Mi domando se sarei in grado di iniziare un progetto di questa portata senza il bisogno di essere rassicurato da un piano dettagliato, accogliendo l’incertezza di un’opera always in beta.

Si è focalizzato sia sui dettagli che sul progetto globale. Gaudì si è dedicato, nei quarant’anni trascorsi a progettare e costruire la Sagrada Familia, sia alla visione (l’atmosfera della basilica e i significati da trasmettere a ciascun elemento), sia alla cura quasi maniacale dei dettagli costruttivi e iconografici. Potremmo dire che ha alternato continuamente l’attenzione ai micro dettagli e la difesa della visione macro. Mi domando quanto sono capace di alternare in maniera efficace queste due tipologie di pensiero.

Infine, ha affrontato il lavoro più importante della sua vita con umiltà. Secondo il piano di Gaudì, la vetta più alta della chiesa doveva superare i 170 metri di altezza, con un croce poggiata sulla cima. Ma l’altezza totale doveva essere un metro meno del Montjuïc, il colle che occupa la parte sud della città, perché Gaudì era convinto che il suo lavoro non dovesse sopravanzare in altezza il lavoro di Dio.

So che queste idee non offrono una ricetta pronta per l’uso al fine di sviluppare la nostra leadership.
Spero possano ispirarvi come Gaudì ha ispirato me. Se questo succederà, vi chiedo di condividere i vostri commenti.

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